ACQUATINTA – Oasi dell’acqua amara, Davide Benati
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L’artista e la sua opera:
Davide Benati sceglie l’acquatinta per trasferire le fragili sfumature di colore degli acquerelli alle edizioni incise: dell’artista infatti è nota la predilezione per l’acquerello, che dà corpo alle sue visioni pittoriche caratterizzate da eleganti ed eteree infiorescenze. Nato a Reggio Emilia il 23 febbraio 1949, l’artista frequenta il liceo artistico di Modena e l’Accademia di Brera a Milano. Esordisce nel 1972 con la personale alla Galleria Il Giorno di Milano, partecipa alla Biennale di Venezia nel 1982 e negli anni successivi il suo curriculum si arricchisce di esposizioni personali e collettive nazionali e internazionali. Ha insegnato anatomia all’Accademia di Belle Arti di Bologna e a Brera. Dal 2006 al ’15 lavora per la Galleria Marlborough Monaco. Nel 2018 espone a Milano nella galleria di Luca Tommasi Arte Contemporanea; a WopArt di Lugano, al FAR di Rimini con una personale nell’ambito della Biennale del disegno. Oasi dell’acqua amara è stampata su di un fondino di carta nepalese applicato al foglio di carta per incisione, il quale consente una particolare valorizzazione del fondo impregnato di luce. L’idea dell’artista è stata interpretata e rielaborata con raffinatezza alchemica da Roberto e Anna Maria Gatti, gli artigiani del Laboratorio d’arte grafica di Modena, specializzato dal 1979 in tutte le tecniche calcografiche. Di loro ha detto Benati: “Da molti anni Anna Maria e Roberto traducono la mia pittura nel linguaggio della grafica. Ho sempre considerato il loro lavoro affine a quello che compie il traduttore di un testo letterario: da una lingua a un’altra. Come tutti i traduttori preziosi, non si limitano a una corretta trasposizione del testo tecnicamente e grammaticalmente impeccabile: sanno penetrare la pelle dell’opera, ne rivelano la grana segreta, ne carpiscono i tempi. I loro strumenti di antica alchimia restituiscono un’opera speculare ed autonoma, viva”.
Opera 15x15 venduta all'interno della propria scatola 36x36 che, una volta aperta, diventa anche cornice. Il tutto in una scatola contenitore con comodo manico da asporto
Davide Benati sceglie l’acquatinta per trasferire le fragili sfumature di colore degli acquerelli alle edizioni incise: dell’artista infatti è nota la predilezione per l’acquerello, che dà corpo alle sue visioni pittoriche caratterizzate da eleganti ed eteree infiorescenze. Nato a Reggio Emilia il 23 febbraio 1949, l’artista frequenta il liceo artistico di Modena e l’Accademia di Brera a Milano. Esordisce nel 1972 con la personale alla Galleria Il Giorno di Milano, partecipa alla Biennale di Venezia nel 1982 e negli anni successivi il suo curriculum si arricchisce di esposizioni personali e collettive nazionali e internazionali. Ha insegnato anatomia all’Accademia di Belle Arti di Bologna e a Brera. Dal 2006 al ’15 lavora per la Galleria Marlborough Monaco. Nel 2018 espone a Milano nella galleria di Luca Tommasi Arte Contemporanea; a WopArt di Lugano, al FAR di Rimini con una personale nell’ambito della Biennale del disegno. Oasi dell’acqua amara è stampata su di un fondino di carta nepalese applicato al foglio di carta per incisione, il quale consente una particolare valorizzazione del fondo impregnato di luce. L’idea dell’artista è stata interpretata e rielaborata con raffinatezza alchemica da Roberto e Anna Maria Gatti, gli artigiani del Laboratorio d’arte grafica di Modena, specializzato dal 1979 in tutte le tecniche calcografiche. Di loro ha detto Benati: “Da molti anni Anna Maria e Roberto traducono la mia pittura nel linguaggio della grafica. Ho sempre considerato il loro lavoro affine a quello che compie il traduttore di un testo letterario: da una lingua a un’altra. Come tutti i traduttori preziosi, non si limitano a una corretta trasposizione del testo tecnicamente e grammaticalmente impeccabile: sanno penetrare la pelle dell’opera, ne rivelano la grana segreta, ne carpiscono i tempi. I loro strumenti di antica alchimia restituiscono un’opera speculare ed autonoma, viva”.
Opera 15x15 venduta all'interno della propria scatola 36x36 che, una volta aperta, diventa anche cornice. Il tutto in una scatola contenitore con comodo manico da asporto
Dettagli prodotto
.La tecnica:
Il termine calcografia deriva dai vocaboli greci chalkòs “rame” e graphèin “scrivere”, e si riferisce al materiale della lastra utilizzata come matrice per la stampa e al fatto che tale matrice viene “scritta”, ossia incisa. L’incisione calcografica si divide in due procedimenti, diretto e indiretto. Nel primo la matrice è incisa a mano dall’artista con strumenti, come il bulino, che la scalfiscono senza mediazioni chimiche; in quello indiretto invece l’artista asporta chimicamente il metallo mediante esposizione a sostanze corrosive. In quest’ambito le tecniche più comuni sono l’acquaforte e l’acquatinta. “Acqua forte” è l’antico nome dato all’acido nitrico, noto per il suo potere corrosivo. La lastra, levigata, viene preparata con un sottile strato di vernice cerosa resistente agli acidi. L’artista vi traccia il disegno con una punta di acciaio facendolo emergere tramite la rimozione della vernice stessa. Il supporto di metallo è quindi immerso nell’acido, la morsura, che appunto “morde” la lastra penetrando dove la vernice è stata rimossa e scavando dei solchi. Dopo il lavaggio e la finitura, la lastra è pronta per la stampa e l’immagine finale risulterà speculare a quella della matrice. L’acqua “tinta” è simile nel procedimento, viene quasi sempre usata in combinazione con l’acquaforte e dà un effetto di tintura affine all’acquerello. La lastra viene ricoperta con sostanze cristalline bituminose distribuite in modo omogeneo: poi la matrice viene scaldata così che queste sostanze, fondendo, aderiscono alla superficie proteggendola in modo puntiforme. La morsura penetrerà solo in alcuni punti della copertura puntiforme provocando una “granitura” del metallo, ossia un effetto modulato di chiaroscuro, ombreggiature e mezzitoni.
Il termine calcografia deriva dai vocaboli greci chalkòs “rame” e graphèin “scrivere”, e si riferisce al materiale della lastra utilizzata come matrice per la stampa e al fatto che tale matrice viene “scritta”, ossia incisa. L’incisione calcografica si divide in due procedimenti, diretto e indiretto. Nel primo la matrice è incisa a mano dall’artista con strumenti, come il bulino, che la scalfiscono senza mediazioni chimiche; in quello indiretto invece l’artista asporta chimicamente il metallo mediante esposizione a sostanze corrosive. In quest’ambito le tecniche più comuni sono l’acquaforte e l’acquatinta. “Acqua forte” è l’antico nome dato all’acido nitrico, noto per il suo potere corrosivo. La lastra, levigata, viene preparata con un sottile strato di vernice cerosa resistente agli acidi. L’artista vi traccia il disegno con una punta di acciaio facendolo emergere tramite la rimozione della vernice stessa. Il supporto di metallo è quindi immerso nell’acido, la morsura, che appunto “morde” la lastra penetrando dove la vernice è stata rimossa e scavando dei solchi. Dopo il lavaggio e la finitura, la lastra è pronta per la stampa e l’immagine finale risulterà speculare a quella della matrice. L’acqua “tinta” è simile nel procedimento, viene quasi sempre usata in combinazione con l’acquaforte e dà un effetto di tintura affine all’acquerello. La lastra viene ricoperta con sostanze cristalline bituminose distribuite in modo omogeneo: poi la matrice viene scaldata così che queste sostanze, fondendo, aderiscono alla superficie proteggendola in modo puntiforme. La morsura penetrerà solo in alcuni punti della copertura puntiforme provocando una “granitura” del metallo, ossia un effetto modulato di chiaroscuro, ombreggiature e mezzitoni.
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